La cella
Era spesso costretto ad affrontare incubi comuni tra un dentro e un fuori. Li maneggiava convinto, straconvinto, di starsene dentro, invisibile e discreto. E invece no, stava fuori, ma un fuori diverso, più di striscio, laterale, come l’atrio dello stesso cinema ma all’uscita di un’altra sala. E quindi sempre occupato a misurare dentro e fuori con un metro senza cifre e un biglietto pesce d’aprile attaccato alla schiena. E certo è che, convinto di poter indicare fronte/retro, il lato delle cuciture che va girato dove non si vede, la finestra della cella, certo del fuori e del dentro, si accorse troppo tardi di camminare al piano superiore, passi scanditi nel silenzio, cenere come guida di percorso, breve, finché ce n’è.